LE PAROLE E LA REALTA'
Tim Parks
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 4 dicembre 2010
IL POVERO SIGNOR PEEL
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Ultimamente abbiamo sentito qualcuno lodare (tra il plauso compiaciuto dell’intera nazione) le potenti virtù della parola e della scrittura, dedicandosi alle quali perfino il più incallito camorrista rinuncerebbe alla feroce concorrenza sleale con cui è solito sbrigare i propri affari (bussiness).
Neppure quel pover’uomo di van Gogh si era fatta tanta illusione sulla pittura, da preferire di essere piuttosto un calzolaio. Tuttavia, quando a volte qualcun altro (che non abbia però l’alito cattivo del comunista) prova a riflettere per un po’ su certe esaltazioni, è buona regola prenderne nota senza curarsi della ostentata minaccia di "riproduzione riservata".
- "Siamo fin troppo abituati a sentire gli scrittori lodare la parola: «Sì, la lingua è sempre stata la mia passione; ogni frase dev'essere limata alla perfezione».
Troppo abituati anche a sentir parlare del potere positivo della letteratura: «Magari avesse letto qualche romanzo serio, almeno il tradimento del marito non sarebbe stato così traumatico».
E addirittura della sua importanza politica:
«Se gli israeliani leggessero i romanzi dei palestinesi e viceversa – sostiene Amos Oz – si potrebbe abbassare il livello della tensione».
«Se gli americani traducessero di più – crede la traduttrice Edith Grossman – la politica estera statunitense sarebbe più comprensiva».
«La camorra si può sconfiggere – insiste Saviano – con la parola!».
E poi, come dimenticarlo, proprio al cuore della nostra religione c'è l'annuncio perentorio e assieme bizzarro «In principio era il verbo», quasi che quanto sta al di fuori della lingua fosse secondario e insignificante.
E se invece parola, lingua e letteratura stessero più dalla parte del problema che non della soluzione?
Riflettiamo. Inventate, inesistenti nel mondo naturale, le parole ci riempiono le orecchie non appena usciamo dal grembo materno.
La testa piena, cominciamo a ripeterle.
I suoni giusti nelle sequenze giuste fanno sì che otteniamo quello che vogliamo.
Ben presto queste formule ci sembrano naturali quanto il respiro. Il famoso flusso di coscienza non è altro che un flusso di parole.
Abbiamo appena imparato a camminare, ed ecco che ci mettono un libro tra le mani.
I suoni sono diventati segni.
Dobbiamo leggerli silenziosamente, sottratti ormai dagli scambi di cibo e di affetto, rimossi dal contesto immediato.
Sola, appartata, la mente pullula di parole che non hanno nessuna esistenza materiale.
Leggendo in silenzio impariamo a muoverci in un sistema a parte.
L'abitudine ci è congeniale? Le parole accelerano. L'occhio corre in avanti.
La pagina gira ancor prima che abbiamo digerito le ultime righe di quella precedente.
Le altre percezioni – il rumore di una tosatrice, i profumi della cucina – vengono smorzate, allontanate.
Il mondo concreto viene meno.
La macchina vorticosa delle parole si solleva dalle pesanti superfici del suolo, del cemento, della pelle.
Mente e corpo si separano.
È qui che comincia il danno.
La "creatività" è complice.
Se tutto ciò che vediamo nel mondo ha una sua parola, un suo nome, si possono anche inventare parole per le cose che non vediamo: angeli, anime, spiriti, fantasmi, dio, paradiso; questa dimensione esiste, nelle parole.
Uno dei termini che abbiamo inventato è "io".
Senza sosta, nella testa, adoperando le parole che ci hanno insegnato, fabbrichiamo un'entità che chiamiamo "io"; è una creatura con passato e futuro, proprio come le frasi e i racconti che leggiamo e scriviamo hanno tutti un inizio e una fine.
Per rassicurarci sulla sua esistenza abbiamo inventato un'altra parola, identità.
E un'altra, carattere, e un'altra ancora, personalità.
Quante più parole ci sono per descriverlo, tanto più esso esiste.
L'io è una storia che si riversa dalla mente in un flusso di parole governate da precise regole grammaticali.
C'è chi sfrutta questa situazione per inventare racconti, romanzi, scrivendo migliaia e migliaia di segni silenziosi, imitando il modo in cui le persone inventano la propria vita. Così la narrativa……."
Fin qui, Tim Parks. E direi proprio basta così...

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T. Parks, “Il potere della parola”, da Il Sole 24 Ore, 14 novembre 2010 . Luciano Trina, (S)culture a perdere.